PENSIERO, SCIENZA E DIRITTI UMANI

Fermiamo i nuovi Dottor Stranamore di una “scienza” disinteressata ai diritti umani

di Massimo Franceschini

La difesa dei diritti umani passa anche per la lotta ad un approccio psichiatrico-farmacologico di manomissione della persona, completamente appiattito sulla visione riduttiva e meccanicista dell’essere umano.

Come la storia ha dimostrato, questa visione non ha portato altro che aberrazione, degradazione e violazione di diritti fondamentali della persona: trattamenti obbligatori, prigionia, elettroshock, psicofarmaci, ecc.

La psichiatria è la punta dell’iceberg, la più visibile e detestabile, quella cui sono delegati gli sforzi di “curare” le persone “non sane”.

Non dobbiamo dimenticare il retroterra culturale che permette questi approcci materialisti e meccanicisti: la credenza tutta moderna che l’uomo sia, fondamentalmente, una macchina biologica senz’anima, un insieme di cellule e reazioni biochimiche da poter gestire e manipolare a piacimento.

Lo scientismo dilagante di quest’epoca materialista e poco umanista condiziona le nuove scienze e ci regala inquietanti visioni del futuro che i media sponsorizzano allegramente.

Abbiamo così tutta una serie di materie e cattedre che “rinnovano” le vecchie branche del sapere con il prefisso neuro: neuroeconomia, neuroetica, studi sulle basi neurologiche delle scelte morali ecc.

È evidente che spesso queste ricerche hanno il fine di creare nuove categorie di farmaci o prassi genetico-“terapeutiche”.

Forse i farmaci saranno nuovi, ma la visione materialista è sempre la stessa: la “scienza” portata alle “estreme conseguenze” che scavalca filosofia, morale, libero arbitrio e diritti umani.

Il Corriere della Sera da un esempio di ciò in un articolo del 25 marzo del 2012, dal quale apprendiamo che ad Oxford c’è una facoltà di filosofia che ospita l’Istituto dell’Umanità Futura, in cui l’australiano Julian Savulescu si sta dando da fare per delineare le nuove frontiere dell’inquietante manipolazione neuro-tecnologica della realtà .

Sembra che il nostro “eroe”, indicato dal governo di Camberra come uno degli intellettuali di vanto per il paese, si era già “distinto” per la difesa all’articolo degli altri “geni”, stavolta italiani, Alberto Giubilini e Francesca Minerva, in cui si predicava moralmente accettabile l’infanticidio negli stessi casi in cui lo è l’aborto.

Dobbiamo almeno riconoscere a questi signori una certa coerenza: scientificamente l’uomo è un pezzo di carne, un infante non ancora in grado di fregiarsi dell’etichetta “essere umano” cosciente e responsabile, è insomma un feto un po’ più sviluppato!

L’articolo ci informa che questi tre signori ora vivono sotto scorta, i massimalisti intolleranti alla fine si ritrovano sempre.

Tornando a noi, all’Istituto stanno seriamente prendendo in considerazione una strategia a dir poco “innovativa” per mitigare l’impatto climatico dell’umanità sul pianeta: invece di investire nella ricerca di nuove fonti di energia pulita… perché non modifichiamo geneticamente le generazioni future?

Come???

Abbassando l’altezza media delle persone di 15 cm… non è ovvio?!?

Ridurremmo la massa corporea del 23-25%, quindi il tasso metabolico di un 15-18%!!!

Mangeremo e respireremo meno!!!

Inoltre si potrebbe creare un’intolleranza artificiale alla carne….!?!?!?!

L’articolo ci spiega che non dovremmo preoccuparci… non abbiamo dietro l’angolo dei nuovi Hitler ma… filosofi da Star Trek!!!

Il prode Julian non si è certo fermato qui: nel libro di prossima pubblicazione dal titolo Inadatti al futuro, la necessità del potenziamento morale, propugnerebbe di intervenire farmacologicamente e geneticamente sui meccanismi biologici che regolano la nostra psicologia.

Il tutto sarebbe giustificato dall’avvento di imminenti catastrofi:

1. Autodistruzione di un’umanità consumista e tecnologica, ad opera di armi virali e atomiche con conseguenti catastrofi climatiche.

2. La catastrofe causata da una democrazia che lascerebbe gli individui liberi di fare ciò che vogliono.

3. La nostra stessa natura imperfetta istintiva, egoista, aggressiva, oltre al fatto che sfortunatamente ci saremmo evoluti per funzionare nel pleistocene ma ora vivremmo più a lungo di quanto possa durare un rapporto d’amore, incapaci di pensare ai bisogni dell’umanità e succubi di un’amigdala che alimenterebbe la diffidenza per il diverso; inoltre troppo testosterone ci spinge alla guerra mentre l’ossitocina – un altro ormone – non basterebbe a farci far pace.

Rimango certo meravigliato da cotanto sforzo filosofico-intellettuale, certamente lo sbocco logico e razionale di millenni di scritti, filosofie, religioni e del sangue versato dai martiri della fede, della scienza, del libero pensiero e dei diritti umani.

Credo sia proprio ora che il mondo della cultura umanista, filosofica e spirituale dica un forte “basta” a queste aberrazioni del pensiero!

Dobbiamo mettere paletti legali invalicabili ad ogni possibile violazione dell’integrità della persona!

Se la scienza si limitasse a comprendere i meccanismi con cui la vita conquista l’ambiente senza trarne prassi invasive della sfera personale più intima, quella del pensiero e del libero arbitrio, la cultura e la libertà ne gioverebbero e tornerebbero ad essere a disposizione dell’uomo, non delle corporazioni private o dei vari centri di potere.

La semplice scoperta di un modus operandi non dovrebbe, di fatto, autorizzare a intervenire sui meccanismi stessi, questa è tutt’altra faccenda!

Facciamo un esempio con Neurobiologia della morale, un libro della docente di filosofia Patricia S. Churchland, recensito nell’inserto Lettura del Corriere del 15 aprile.

L’autrice cerca di dimostrare come l’ossitocina, ancora lei, sia stata decisiva nell’evoluzione dei mammiferi da animali sociali ad animali morali.

Se ci limitiamo alla sola osservazione possiamo forse dire che – senza deragliare addentrandoci in visioni in cui ogni idea, pensiero o morale sia un puro prodotto della chimica – il condizionamento ambientale, per mezzo dell’ossitocina, determini che la vita possa adottare comportamenti più o meno cooperativi, secondo le esigenze adattivo-riproduttive.

Insomma, la fredda osservazione ci dice che l’evoluzione “determina”, ci fa capire che la vita – questo ente così complesso e variegato che non può essere abbandonato ad applicazioni tecnologiche, poco umaniste – è in grado di gestire la struttura e rispondere alle esigenze ambientali, è in grado di forgiare i corpi biologici a seconda degli eventi per esigenze di sopravvivenza.

Molti al solo pensiero di prendere un farmaco guariscono, anche se è un placebo!

Sono quindi la vita e la funzione a determinare la struttura, un semplice rapporto di causa-effetto.

A causa troviamo qualcosa che possiamo chiamare vita, di cui possiamo avere soltanto una visione biologica o credere “motivata” da spirito, anima, Dio, pensiero, enti da sempre patrimonio della cultura filosofica, umanista e spirituale; ad effetto troviamo l’ossitocina, la serotonina e le conseguenze di queste sulla struttura.

Purtroppo, il materialismo imperante “deve” per forza pensare che la persona stessa sia il cervello, non gli resta altra possibilità se non quella in cui tutto il pensiero e le emozioni nascono da quell’organo.

Mai si potrebbe ammettere che il cervello, per quanto complesso, possa essere un “semplice” quadro comandi al servizio della vita: crollerebbe tutta l’impalcatura teorica che si è andata strutturando nell’era moderna.

Da quanto sin qui esposto si dovrebbe capire che tali questioni non sono sterili disquisizioni teoriche, dato che investono la natura stessa della cultura, le fondamenta del “sistema”.

Dobbiamo capire una volta per tutte che la sola osservazione scientifica non dovrebbe essere sufficiente per intervenire sulla vita, dobbiamo impedire all’ideologia materialista di escludere, di fatto, qualsiasi ambito “non tecnico”: dobbiamo demolire le basi dello scientismo e la deriva autoritaria di un mondo sempre più gestito tecnocraticamente.

Quello che potremmo chiamare un vero e proprio integralismo materialista sta favorendo, ormai da troppo, una progressiva “farmacologizzazione” delle attività umane, un progressivo controllo del pensiero da parte del sistema.

Dato che esistono strade alternative per sovvertire depressioni, dolori emotivi e problemi della sfera mentale, ammesso che siano prese in tempo, bisognerebbe impedire a qualsiasi scienza, ente, governo, autorità, medico, psichiatra o neurologo l’intrusione nella sfera più intima della persona, quella mentale.

Per la delicatissima sfera del mentale andrebbe bandito qualsiasi mezzo che non sia nella piena consapevolezza della persona e che non sia psico-terapeutico, nell’accezione più ampia del termine, includendo con questo la spiritualità (psiche-logia, San Tommaso d’Aquino).

Dobbiamo assolutamente impedire agli “estremisti della scienza” di manomettere, “riequilibrare” o “riprogettare”, in qualsiasi modo l’integrità della persona.

Dobbiamo affermare chiaramente che un conto è intervenire su organi mal funzionanti, cosa che può fare egregiamente la medicina, altra cosa entrare nell’intimo dell’essere umano, mentale o genetico.

Dobbiamo ancora ricordare che lo studio, la conoscenza, la consapevolezza, la meditazione, la preghiera, la confessione, la comunicazione e l’aiuto, insomma tutto ciò che la cultura umanista ha sviluppato, sono in grado di creare un mondo e un uomo migliori!

Se non lottiamo per riequilibrare la cultura pervasa da approssimazioni che si pretendono “scientifiche” e da prassi inquietanti, dovremo rassegnarci ad un futuro politico di controllo chimico e/o di altra natura, vedremo scomparire del tutto l’idea che studiare, riflettere e comunicare può ancora liberare il pensiero.

Liberiamo il mondo della cultura e della scienza dai novelli Dottor Stranamore.

15 agosto 2013

nel mio libro, un programma politico ispirato ai diritti umani, linee guida anche per molte questioni relative alla bioetica

in immagine Julian Svulescu, fonte: Wikimedia Commons

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