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PENSIERO UNICO: LA “CONVENIENZA” DELLA PAURA

massimo franceschini blog

Concetto consueto nell’area del dissenso per avere un’inutile ragione, permea le nostre vite con una patina di “convenienze” funzionali al sistema.

Di Massimo Franceschini

pubblicato anche su Attivismo.info, Sfero, Ovidio Network

 

Cos’è in realtà il cosiddetto “pensiero unico” dominante?

Certamente serve al potere per mantenersi tale, ma di cosa è fatto veramente?

Quanto influisce realmente la narrazione maggioritaria che in qualche modo giustifica l’assetto di potere vigente?

Siamo sicuri possa essere desunto solo dalla propaganda utile agli interessi geopolitici a trazione anglo-americana o c’è dell’altro?

Io stesso negli articoli lo nomino spessissimo, sperando che quanto scrivo lasci capire cosa intendo, almeno in relazione all’oggetto in questione, ma sono consapevole del rischio di indugiare in una consuetudine lessicale uguale e contraria: i presunti “dominati consapevoli”, pensano che i “dominati inconsapevoli” non capiscano o non possano capire, ma così la trappola in cui tutti siamo si chiude.

Questo soggetto, come tutte le faccende umane, è certamente più complesso della generalizzazione implicita nel concetto dato che siamo tutti diversi, anche se non dobbiamo dimenticare che abbiamo dei “meccanismi” del tutto simili perché automatici, di ordine emotivo, con una diversa capacità o consapevolezza di ognuno su tali meccanismi.

I media, in ossequio agli interessi di chi li possiede veramente, sfruttano certamente tali meccanismi con la preziosa consulenza delle psico-”scienze”, capaci così di operare un condizionamento del pensiero attraverso le emozioni assai funzionale e di successo: positivo verso un acquisto, una moda, un’adesione a qualche agenda antidemocratica, ansioso nei confronti del futuro, della sopravvivenza e della sicurezza, personale e collettiva.

Le persone più stressate dalla vita e meno consapevoli finiscono schiave di questo cocktail “bipolare”, capace di condizionare la società nel suo complesso in maniera drammatica.

Dato che tale condizionamento si esprime poi nei modi più vari, vista la nostra unicità, cerchiamo comunque di tracciare una sorta di minimo comun denominatore della “piattaforma” da cui la gente pensa, non dimenticando una questione fondamentale, che se non considerata, può alterare tutta la percezione del problema: dobbiamo tutti sopravvivere, cioè dobbiamo continuare a vivere nel miglior modo possibile di cui siamo capaci e che possiamo comprendere.

Questa considerazione fa capire come nell’equazione entri in gioco la cultura, ma anche vari tipi di “convenienze”, condizionate anche dalla personalità e dall’atteggiamento emozionale di base di ognuno di noi, che può essere remissivo e accomodante o tendere a non voler vedere, oppure diventare esageratamente reattivo, competitivo, disturbante e via dicendo, con vari tipi di “equilibri” ritenuti utili a vivere in mezzo agli altri.

Visto che poi ognuno regola la sua psicologia come meglio può, con più o meno successo, il dato estremamente utile e più oggettivo diventa quello culturale: purtroppo non siamo certo messi bene da quel punto di vista, perché la tecnicizzazione e lo svilimento di scuola e cultura e la narrazione dei media, tutti sostanzialmente di proprietà della finanza globale, stanno demolendo da decenni la capacità di pensiero critico, indirizzandolo al sostegno delle varie agende globali o del caos sociale e all’antagonismo verso il “nemico” designato di turno.

A peggiorare tutto di molto, abbiamo quella che in pratica è diventata una social-mediatizzazione di tutta la vita, che veicola il pensiero in un cortocircuito di consenso autoalimentato dato dall’approvazione di massa, in cui l’influenza conta più della comprensione e del libero pensiero.

Questo velo inestricabile di “contagio” collettivo permea qualsiasi tipo di pensiero o tendenza politica, conservatrice e progressista, a loro volta già “raffinate” da decenni per toglierne le caratteristiche meno divisive e più qualitative da un punto di vista culturale e democratico.

Tale contagio costruisce così, direttamente, quella che purtroppo diventa la realtà delle cose.

Vediamo allora di tracciare le direttrici che mi paiono fondamentali per il pensiero unico dei nostri tempi, ricordando di nuovo che tale ambito è comunque soggetto all’interpretazione, alle sfumature personali di ognuno.

Partiamo così dal sostanziale materialismo della modernità: la perdita dell’orizzonte spirituale e trascendente ha prodotto un fideismo scientista che va ben oltre gli indubbi risultati della tecnica, per consegnarle direttamente tempi, modi e speranze su ogni ambito.

Appena ieri leggevo di un’AI nominata “Gesù” che darebbe consigli spirituali basati sul Nuovo Testamento in dieci lingue…

È questo un abbassamento di orizzonte esiziale per il nostro essere: crederci finiti, insignificanti, sostituibili da un calcolo, a cui si può chiede anche compagnia e amicizia, una sfera che può diventare così non-umana, si aggiunge ai problemi culturali prima evidenziati diventando la base per la demolizione della dignità e dell’etica: anche quando riusciamo a mantenere un conveniente decoro personale riusciamo a digerire ogni perdita di diritto individuale, sociale e politico senza opporre la minima resistenza, spesso anzi avallando e difendendo tali restrizioni necessarie al sistema di potere, ma del tutto contrarie alla ragione e alla verità delle cose.

Anche se già da decenni le perdite di diritti personali, di sovranità e di asset nazionali erano enormi, abbiamo constatato questa disfatta totale, personale e civile, in modo clamoroso dal 2020: da lì abbiamo veramente compreso quanto la tecnocrazia materialista dello spettacolo abbia lavorato bene da decenni, cosa di cui parlavo anche qui, prendendomela anche con la mia generazione.

La particolare ignoranza della modernità ha fatto sì che la gente credesse sul serio alla “pandemia” mediatica, mostrando un’evidente incapacità di reagire al “competentismo” e al totalitarismo tecnocratico, lasciando così liberi “tecnici” e media di ribaltare la realtà violando principi e deontologia, per un crimine globale di enormi proporzioni i cui danni sistemici andranno avanti nel tempo, ma che sono già diventati la base per altri condizionamenti e controlli di stampo tecnocratico e totalitario.

A rendere possibile tutto ciò è anche un’altra convergenza: la saldatura fra la perdita dei valori caratteristica della modernità e l’altro grande caposaldo “materialista”, il relativismo, giunto addirittura a giustificarsi culturalmente con la pretesa di applicare all’uomo l’indeterminismo della dimensione subatomica, in una “fantastica” narrazione che tutto confonde.

Più materialismo di così non si può!

Questa indotta, sostanziale ignavia personale e collettiva è diventata così politica: un convinto consegnarsi al fideismo scientista, condito da quel coerente cinismo ritenuto necessario a sopravvivere dando l’impressione di essere scaltri ed evoluti, mentre ci si sta definitivamente arrendendo al declino etico e spirituale.

La scienza diventa così l’unico “santo” cui appellarsi, cui chiedere la grazia dall’ansia che proviamo, ma che favoriamo continuamente con l’accesso alla narrazione e all’intrattenimento mediatici.

Travolta dal cocktail mediatico di approvazione/ansia sempre più persone richiedono alla tecnologia la capacità di regolare qualsiasi comportamento indesiderato, ben “costruito” e peggiorato nei media e socialmedia che ne amplificano fuori proporzione ogni suo manifestarsi, come per la questione “femminicidio”-”patriarcato” di cui parlerò in un prossimo articolo.

Insomma, la società è costretta in un circolo vizioso devastante, che oltre a coprire i veri mega-problemi e giochi sistemici che le élite stanno operando sulle nostre teste – guardate cosa sta succedendo con la narrazione climatico-antropica e le strane guerre di questi anni – prepara quella che ormai da molto chiamo tecno-distopia di controllo globale, che sarà la morte definitiva della ragione e dello spirito.

Cerchiamo quindi di stilare dei punti per una breve sintesi che possa dare un senso a questo “pensiero unico” dominante:

  1. Una bella dose di materialismo culturale, anche non ammesso da quanti pensano di essere “spirituali” pur essendo antireligiosi.
  2. Una sostanziale ignoranza, condita con grandi sferzate di antipolitica, dovuta alla degenerazione della scuola e alle estese falsità psico-socio-politico-economiche necessarie alle agende globali, che non può essere colmata nella dicotomia “informativa” mass-social-mediatica di sistema/antisistema, in cui stenta a nascere una vera alternativa propositiva, comprensibile e autorevole.
  3. Una profonda ansia indotta e risultante dai punti precedenti, certo mascherata da tutte le possibili “convenienze sociali”, ma anche da una “posa” cinica e apparentemente scaltra sull’esistenza e sulle relazioni in grado di togliere qualsiasi magia alla vita.

Questi punti mi paiono una buona sintesi, un minimo comun denominatore alla base del cosiddetto pensiero unico dominante, quello che “vediamo” e ascoltiamo tutti i giorni dalla maggior parte delle persone con cui ci relazioniamo socialmente.

Forse i sociologi potrebbero parlare di “patina sociale” e quella dei nostri tempi è certamente opaca, anche se cerca sempre qualche “evento” nella società dello spettacolo per riprendersi continuamente, ma senza successo, con quella mediaticità sfavillante e urlante dispensatrice di “emozioni”, immagini e sollecitazioni cui non sappiamo resistere: un vero horror civile che continuiamo a tenere in piedi con la nostra procurata dabbenaggine.

Il risveglio del pensiero personale e civile è quanto mai urgente, ma ormai è come sperare di vincere al superenalotto, senza neanche aver giocato la schedina!

 

26 novembre 2024
fonte immagine: istruzioni a Microsoft Bing

2 commenti su “PENSIERO UNICO: LA “CONVENIENZA” DELLA PAURA”

  1. Davvero TUTTI così omologati? Non credo. Quelli “fuori dalla rete” sono tanti, tantissimi. I “dentro” e i “fuori” certo sono imparentati dalla deculturazione. Ed è sulla necessità di trovare una strada per costruirla, una buona cultura, che penso dovremmo impegnarci.
    In primis, marginalizzando la tecnologia e costruendo alternative solide alla “scuola di Stato”.

    1. Non dico tutti, anche se in effetti ammetti anche tu una certa “parentela”. Ciò che giustamente auspichi, è una strada che si deve costruire politicamente e culturalmente, ma non vedo abbastanza forza consapevole e autorevole in giro!

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